Il (cosiddetto) Codice della Privacy, le Linee Guida per Periti e Consulenti emanate dal Garante per la Tutela dei dati Personali e le Leggi che regolano l'espletamento della Perizia e della Consulenza Tecnica già lo prevedevano molto chiaramente, ma una Sentenza di Cassazione è sempre utile, e non tanto per chiarire legittime perplessità, quanto per tacitare gli abusi burocratici e di diritto.
La Sentenza numero 15327/2009 del 30 Giugno 2009, pronunciata dalla Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione (Presidente Dott. Guido Vidiri) ribadisce un principio che doveva essere più che chiaro; semmai, i dubbi sulle modalità di accesso a documenti conservati presso uffici privati (ad esempio, società presso cui si lavora, enti di gestione quali il condominio di residenza, eccetera) non sono del tutto esplicitati e risolti.
Nell'ordine.
Il Tribunale di Milano, nel lontano 2003, rigettava la domanda del ricorrente contro la società presso cui lavorava, diretta ad ottenere il risarcimento del danno derivatogli dall'avere, il datore di lavoro, messo a disposizione di terzi documenti con la sua sottoscrizione o da lui scritti a mano, al fine di rendere possibile una perizia grafica volta ad accertare se egli fosse o meno l'autore di scritti ingiuriosi anonimi inviati ad alcuni colleghi.
Il fatto, importantissimo ai nostri fini, come si legge nel dispositivo della sentenza, è che la richiesta motivata dei documenti, in quanto "scritture comparative" è stata fatta ed ottenuta dalla parte offesa, e non dalla Autorità Giudiziaria, per poter far eseguire una Consulenza Grafica con la quale giustificare una eventuale Denuncia.
Incidentalmente, il processo che ne è seguito si è risolto con la assoluzione dell'imputato (poi ricorrente nel giudizio civile contro l'azienda).
Il Tribunale di Milano, e ora la Suprema Corte hanno sottolineato che in questi casi non si parla di privacy (ormai divenuta il lucchetto con cui negare ogni e qualsiasi accesso ad ogni e qualsiasi documento, sia presso la P.A. che presso qualsiasi altro soggetto), giacché prevale la necessità di indagine, ad impedire che fatti criminosi di qualsiasi genere vengano premiati con l'impunità per abuso di diritto, ed in margine hanno osservato come i documenti in fattispecie non contenevano dati personali come definiti dalla Legge, nè il loro trattamento (sic) ai fini della Consulenza Grafica (di parte!) rientra tra quelli per i quali è previsto il consenso dell'interessato.
Alcuni problemi procedurali, però. restano.
È possibile, sì, richiedere scritture di comparazione anche a uffici privati, e senza il consenso dell'interessato, ed è possibile che la richiesta venga fatta anche dalla parte offesa. Il rifiuto da parte dell'ufficio però non è sanzionato, poiché non esiste l'obbligo da prte di questo a fornire i documenti a soggetti diversi dalla Autorità Giudiziaria.
Inoltre, esistono documenti che possono essere integralmente o parzialmente negati, in quanto contengono dati definiti sensibili secondo Legge. E una volta acquisiti, il Consulente (della parte) dovrà attenersi con il massimo (e documentato) scrupolo alla difesa dei dati sensibili che risultino ultronei rispetto all'oggetto di indagine. La firma in calce ad un certificato medico potrà cioè essere acquisita, ma il contenuto del certificato dovrà essere mantenuto segreto ed offuscato in ogni documentazione prodotta dal Consulente.
L'offuscamento dei dati estranei all'indagine vale anche per il CTPM ed i Periti del Giudice, me viene tutt'ora largamente disatteso e assolutamente non sanzionato come, invece, la Legge prevede chiaramente.
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