sabato 4 giugno 2011

Adeguamento periodico degli onorari


La Legge 8 Luglio 1980, art. 10, recita:

Adeguamento periodico degli onorari
Ogni tre anni, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro di grazia e giustizia, di concerto con il Ministro del tesoro, potrà essere adeguata la misura degli onorari di cui agli articoli 2 e 4 in relazione alla variazione accertata dall'ISTAT, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati verificatisi nel triennio precedente.

L'ultimo adeguamento è del Maggio del 2002, tre omessi adeguamenti fa (Maggio 2005Maggio 2008 e Maggio 2011 Presidente del Consiglio dei Ministri sempre Silvio Berlusconi).

Ripetiamo i due soliti conti, in uno scenario nemmeno tanto ipotetico, anzi più che plausibile e facilmente verificabile nella realtà dei fatti.
Vengo incaricato di fornire l'assistenza come interprete specializzato (portoghese brasiliano) in una indagine che si svolge attraverso intercettazioni ambientali e telefoniche. Io non posso prestare assistenza per più di otto ore al giorno (quattro vacazioni), come disposto dall' articolo quattro della L. 319, a meno che non sia presente il Magistrato e verbalizzi la mia effettiva presenza oltre il limite indicato.
L'incarico può prolungarsi anche per alcuni mesi, e io debbo garantire comunque la mia presenza per le otto ore giornaliere, festivi compresi. 
Nel caso si presti servizio in sala ascolti non è consentito svolgere contemporaneamente altri incarichi.
In un mese di trenta giorni, la Legge prevede che mi possa essere liquidata una somma massima di euro 984,53 - lordi.  Da queste si sottrae il venti per cento di ritenuta alla fonte a titolo di imposta sui redditi (quale contribuente minimo, quando mai ci si arriva ai trentamila euro di movimento annuo!), ed un trenta per cento circa tra contributo INPS  (che nonostante le promesse politiche, è destinato ad aumentare ancora) e spese varie.
Il reddito mensile, al netto di tasse e spese, diviene quindi qualcosa appena al di sotto dei cinquecento euro, liquidato a fine inchiesta, magari decurtato, e pagato materialmente anche un anno dopo.

Non ripetiamo ancora una volta il disagio ad essere pagati meno del marginale che sporca i vetri delle automobili al semaforo davanti la Procura, degli enormi rischi che si stanno materializzando come conseguenza dell'espulsione dei professionisti qualificati dal circuito giudiziario, sostituiti da volenterosi privi delle capacità operative minime, non parliamo nemmeno dei rischi di corruzione che inevitabilmente appaiono quando si associano pagamenti indegni con professionalità inadeguate - altrimenti qualcuno dice che ci stiamo sempre a lamentare.

La tariffa è pubblicistica ci si risponde; ma la pubblicità che potrebbe derivare dalla accessibilità degli elenchi è stroncata sul nascere dalla privacità. Aggiungiamo che chi gode (è proprio il caso di dirlo) dei settori per i quali è prevista una tariffa a percentuale non risente dell'inflazione come ne risente chi è costretto alla quota fissa ovvero alle vacazioni.

La Corte Costituzionale è stata chiamata più volte ad esprimersi sulla legittimità della Legge 319/80, rispetto all'art. 36 della Costituzione. 
Ed ha anche più volte richiamato il legislatore sulla diversità di trattamento dell'attività svolta per l'Autorità Giudiziaria, non solo per la disparità tra liquidazione a percentuale e liquidazione a vacazione, conseguenza del colpevole mancato adeguamento agli indici ISTAT degli importi tabellari nei termini (tre anni) fissati dalla Legge stessa, quanto per il fatto che l'opera prestata per il Giudice o per il Magistrato costituisca o meno una percentuale rilevante del reddito personale dell'interessato.

Chi, cioè, lavora pressoché esclusivamente per l'Autorità Giudiziaria è discriminato rispetto a chi ha altre entrate che gli consentono di sostenere il sacrificio per il bene comune implicito nella tariffa pubblicistica.

La Sentenza numero 41 del 1996 concludeva che questa Corte non può non rinnovare l'auspicio che - in attesa di norme migliori - le autorità indicate dalla legge impugnata provvedano a rispettare le scadenze triennali di adeguamento dei compensi dovuti in base alle variazioni accertate dall'ISTAT.
 
Quanto sia stata rispettata, lo stiamo vedendo da undici anni.

mercoledì 1 giugno 2011

Autopen


Lo scorso giovedì 26 Maggio 2011, poco prima della mezzanotte, ora di Washington D.C. , il presidente statunitense Barack Obama ha firmato una proroga quadriennale di alcune parti dell'USA PATRIOT Act (è l'acronimo di Uniting and Strengthening America by Providing Appropriate Tools Required to Intercept and Obstruct Terrorism) approvata poche ore prima dal Congresso, non senza oppositori, primo fra tutti il senatore del Kentucky Rand Paul.
Queste parti dell'Act riguardano la possibilità di procedere ad intercettazioni e ricerche, ovvero alla sorveglianza dei lone-wolf suspects non statunitensi, in assenza di un mandato specifico sottoscritto da un Giudice indipendente, e debbono essere limitate nel tempo (ma prorogabili) perché il Congresso deve periodicamente valutare se il provvedimento porti con sé un effetto di compressione delle libertà civili.
Il presidente Obama era però in Francia, e per sottoscrivere il provvedimento prima della mezzanotte, ha utilizzato uno strumento ben noto ai cacciatori di autografi ed agli studiosi della burotica francese e statunitense, l'autopen.
Lo strumento è concettualmente semplice, ed è riconducibile ad un brevetto del 1804; in estrema sintesi, è un meccanismo che riproduce meccanicamente una scrittura (in particolare, una firma) a partire da una matrice, una volta una placca metallica, oggi un file in memoria.
L'Autopen è stato utilizzato in Francia per la sottoscrizione dei titoli bancari, e poi negli USA per la firma e la dedica sulle lettere e le fotografie, di artisti, sportivi - e politici. Nei fatti, si tratta di un sostituto robotico della cosiddetta clerk signature (in italiano la firma di sottoposto).
JFK ha utilizzato l'Autopen pressoché per ogni cosa che non avesse importanza capitale, dalle lettere di ringraziamento e di augurio, alle fotografie; pare non ci sia firma di astronauta, da Yaeger e Glenn sino agli equipaggi delle missioni Apollo che non sia automatizzata. 
La macchina può scrivere anche su superfici irregolari (una palla da baseball) o sulla prima pagina di un volume, per esempio.
Però qui non ci interessa parlare né della dubbia sicurezza che porterebbe il PATRIOT Act, né della legge statunitense che impone che la firma sulle leggi sia eseguita a Washington (altrimenti Obama avrebbe sottoscritto il decreto a Parigi, n'est pas?) e nemmeno l'uso dell'Autopen per la firma di una legge, alla fine, visto che per le particolari modalità di esecuzione si è trattato di un esercizio di telepresenza (Marvin Minsky, Omni, Giugno 1980 - io ce l'ho, ci mancherebbe).

La domanda è dal punto di vista del perito grafico: la firma con l'Autopen è riconoscibile come scrittura meccanica oppure no ?
Si dirà che la firma meccanica è ripetitiva, identica al modello : no, perché si può regolare il lasco delle catene cinematiche in modo da introdurre varianti che rientrano nella normale variabilità di un soggetto umano.
Il ductus ? Nemmeno, la riproduzione è pressoché perfetta, nelle forme e nei piccoli segni. Se poi si lavora su una fotoriproduzione ...
La chiave è, in parte, ancora una volta nel tratto, che è caratteristico del sistema cinematico che costituisce l'Autopen. 
Il problema maggiore nel riconoscimento di una firma meccanica è invece nel perito, quando compreso nella mancanza dell'orrore di sé stesso non prende nemmeno in considerazione la possibilità di una scrittura prodotta meccanicamente. 
"Basta uno sguardo", no ?