Sono necessarie due premesse a questa parte di Note sulla riforma dei Codici di Rito (per Periti).
Primo, va ricordato il destinatario del contenuto di questi brevi scritti: il Perito, Consulente Tecnico, Interprete, Traduttore - non il difensore, il magistrato, le parti strictu sensu. Quello che qui interessa è di fornire il punto di vista del rozzo perito, che non si occupa (né deve mai occuparsi, il perito non fa il giudice né tantomeno il difensore) della procedura e delle strategie e delle tattiche del processo. Il linguaggio e l'esposizione si concedono, pertanto, alcune libertà che servono ad indirizzare il Perito, Consulente, Interprete, Traduttore a dialogare con efficacia con magistrati e difensori, nella corretta prospettiva del confronto tra il sapere tecnico e sapere giurisdizionale.
Secondo: nei riti anglosassoni, il processo penale e la causa civile si svolgono tra parti regolamentate da un giudice terzo. Prima di arrivare all'aula, al dibattimento propriamente detto, si inizia con la chiamata di una parte [anche il Pubblico Ministero, con varie sfumature, è parte] e dalla risposta dell'altra; segue, sempre prima dell'arrivo in aula, la fase della c.d. discovery, nella quale le parti possono ottenere qualsiasi materiale che sia ragionevolmente in grado di condurre alla scoperta (discovery, appunto) di elementi probatori ammissibili, ovvero di materiali non direttamente rilevanti, ma che possano portare ad ulteriori materiali che possono essere rilevanti. Tralasciamo le regole e le norme della fase di discovery: qui interessa dire che prima del dibattimento, entrambe le parti dovranno avere a disposizione tutte le informazioni necessarie a sostenere la loro posizione ante il giudice, come detto, terzo.
Il concetto di discovery o di total discovery viene richiamato in un forma (eufemisticamente) spuria nelle recenti ipotesi di riforma dei codici di rito, sin dalla bozza del governo Renzi (quella del rito di cognizione semplificata), sino ai decreti attuativi della riforma Cartabia, con la intenzione di liberare la trattazione ante il giudice dalle fasi preliminari e di acquisizione degli elementi di prova e delle conseguenti risposte della controparte - lo spirito delle riforme è sempre quello (lo vuole l'Europa!) di velocizzare i processi, civili e penali. Che poi, per velocizzare la Giustizia in Italia, sia semplicemente necessario dotarla di mezzi è una evidence che viene sistematicamente ignorata, è un altro discorso.
Nel codice di procedura penale, l'Art. 23 del Decreto Legislativo, comma l), all’Art. 425 [Sentenza di non luogo a procedere], comma 3, del codice di rito sostituisce le parole: risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio con l'espressione non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna.
Il comma 3 dell'Art. 425 diviene quindi:
3. Il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna.
L'udienza predibattimentale consentirebbe quindi di definire l'archiviazione in tutti i casi in cui, oltre al ricorrere di ragioni immediate di proscioglimento, anche quando gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna, e quindi di andare a processo solo nei casi in cui il suo esito sia ragionevolmente orientato verso la conferma dell'accusa, realizzando quella che la dottrina definisce il diritto al non processo.
La decisione in questo ultimo senso, però, non avviene automaticamente, ma solo dopo che la difesa avrà adeguatamente confutato l'ipotesi accusatoria, anche con il supporto delle consulenze tecniche di parte quando necessarie. Ovviamente, la difesa avrebbe accesso integrale (con alcuni dubbi) al fascicolo del Pubblico Ministero.
Si avrebbe di conseguenza una valorizzazione dell'opera del consulente (interprete, traduttore) di parte, nella fase strettamente predibattimentale, e non più nel dibattimento vero e proprio, quando la difesa doveva prima strappare l'accertamento tecnico al giudicante e nel corso di questo dimostrare le proprie tesi sulla inadeguatezza delle tesi dell'accusa.
Analoga valorizzazione avviene nel codice di procedura civile novellato, dove la causa viene avviata con citazione e allegando l'intero apparato dimostrativo delle tesi sostenute, al quale il convenuto deve rispondere entro un termine definito, prima di quella che oggi è l'udienza di comparizione. Sulla complessità del procedimento, ritorneremo nelle parti successive di questa nota, ed è comunque onore ed onere che volentieri lasciamo al difensore.
Il principio della novella è che il magistrato dovrebbe poter decidere della causa già alla prima udienza, avendo già a disposizione ed avendo già studiato l'intero corpus documentale. Procedura che suscita non pochi malumori, perché, tra le altre stritola i diritti del convenuto.
Anche nel rito civile, quindi, alle considerazioni tecniche del ricorrente si dovrà rispondere - in tempi orribilmente ristretti - con adeguate consulenze tecniche di parte, da produrre prima dell'udienza di comparizione.
Sullo stritolamento dei diritti del convenuto, ci basti, a noi, periti su documenti, qualche minima considerazione prendendo - ad esempio - la contestazione di un testamento olografo, con la necessità di esaminare adeguatamente l'originale presso il depositario, così come la formazione critica di un adeguato corpus comparativo e, spesso, la formazione di una anamnesi prossima del testatore. Nulla si legge e nulla si commenta sulle possibilità di accesso a tali documenti da parte del convenuto, lasciando così in vantaggio il ricorrente e dovendo appellarsi al buon cuore del giudicante per un accertamento tecnico in corso di causa.
Una slide dalla mia relazione al Convegno di Grafologia Giudiziaria di Mesagne 2016, in critica alla ipotesi di riforma Renzi dei codici di rito, sulla introduzione (annacquata) della discovery e della fase di pre-trial