Era già noto il disposto dell'art. 29 del DM 30 Maggio 2002 : Tutti
gli onorari, ove non diversamente stabilito nelle presenti tabelle,
sono comprensivi della relazione sui risultati dell'incarico espletato,
della partecipazione alle udienze e di ogni altra attività concernente i
quesiti. La norma vale per tutti i percorsi di giudizio, civile, penale, lavoro, ed è considerata richiamata implicitamente all'interno del TUSG.
Sostanzialmente,
quello che vi vien pagato, comprende tutte le udienze, per tutti i
gradi di giudizio alle quali sarete chiamati a comparire, tutti i
chiarimenti, tutte le risposte.
Il fatto che si venga chiamati a testimoniare, magari dieci anni dopo, con un preavviso di dieci ore (dalla sera alle ore di rito mattutine), senza nemmeno sapere su che cosa, perché magari è cambiato il nome degli attori o degli imputati, qui non rileva.
Se
conteggiamo le ore passate in udienza (o ad attenderla), i poco meno di due euro netti l'ora che ci vengono liquidati, si riducono ulteriormente. Ma di questo, nessun governo della Repubblica, dal 2005 in poi, alla scadenza del primo adeguamento triennale all'indice ISTAT (articolo 54 del TUSG), se ne è interessato, neppure nella conseguente espulsione dei professionisti qualificati dal circuito, neppure nell'incremento del rischio di corrutibilità, anzi.
Nell'onorario, quindi, andrebbe inclusa anche l'attività dei chiarimenti in sede civile, anche nei casi residuali seguenti all'applicazione dell'art. 195 CPC novellato, che anzi previlegia il confronto diretto in udienza tra il CTU e i rappresentanti delle parti, escludendo in maniera forte anche l'ecezionalità dei chiarimenti scritti (che venivano concessi nel caso di risposte ritenute complesse e non esauribili oralmente).
Sulla questione del pagamento dei chiarimenti ripropongo una sentenza della III Sezione della Suprema Corte, la 4655 del 20 Marzo 2006: nella liquidazione del compenso al C.T.U. i chiarimenti non costituiscono un'attività ulteriore ed
estranea rispetto a quella, già espletata e remunerata, che è l'oggetto della
consulenza. Sono, infatti, una attività complementare, integrativa e necessaria,
che il C.T.U. è tenuto a svolgere qualora gli venga richiesto
(il che normalmente accade quando la relazione depositata non viene
ritenuta esaustiva), e quindi per detta attività, non spetta un
compenso ulteriore rispetto a quello già percepito per la consulenza
tecnica.
Nella lettera della motivazione : [...] il mancato riconoscimento di un compenso separato per i chiarimenti non è dipeso né dall'entità del compenso liquidato per la consulenza espletata, né da una valutazione di non esaustività di tale consulenza, ma dall'avere il Tribunale correttamente considerato, come si desume dalla motivazione del provvedimento impugnato, che i chiarimenti non costituiscono un'attività ulteriore ed estranea rispetto a quella già espletata e remunerata, ma un'attività complementare, integrativa e necessaria, al cui compimento il C.T.U. è tenuto tutte le volte in cui ne faccia richiesta la parte interessata, il che normalmente accade quando la relazione depositata non possa dirsi esaustiva.
In parole povere e volutamente faziose, è il Consulente ad essere in colpa per non essersi fatto capire, non le parti per non aver voluto capire, anche se gli orientamenti interni ai Tribunali indirizzano i Magistrati a prediligere quei professionisti capaci di mediare tra le divergenti visioni tecniche tra le parti (ed i loro Consulenti).
È altresì evidente, che i supplementi di perizia/consulenza sono, invece, attività ulteriore alla consulenza/perizia depositata, e che quindi vanno regolarmente remunerati.
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