Se da un lato la disponibilità diffusa di alcune tecnologie consente di ottenere risultati (dal punto di vista del falsario) rispetto alle tecnologie tipografiche classiche (calcografia e offset) con costi enormemente inferiori, dall'altro la presenza delle tecnologie anticontraffazione note al grande pubblico (gli inchiostri cangianti, la rilievografia) rende più facile la scoperta di un falso.
Si deve però osservare che una buona parte dei falsi in circolazione, si tratti di cartamoneta o di documenti di vario genere (a cominciare dai documenti di identità) sono prodotti con stampanti a getto di inchiostro di fascia bassa, e sono spesso qualitativamente indecenti. Si dovrebbe quindi ritenere che, sì, c'è maggiore facilità nell'individuare banconote o documenti contraffatti, ma la capacità di individuarli da parte del pubblico (quando non da parte delle stesse autorità) è in calo.
Un esempio, tra un documento autentico (sopra) ed un falso grossolano (sotto):
Il falso è appunto, grossolano, gretto; fa schifo, semplicemente. Benché sia possibile realizzare buone copie di cartamoneta e di documenti usando una stampante a getto di inchiostro con la opportuna malevolenza, qui non ci si cura nemmeno di questo. Anzi, sono noti casi in cui l'inchiostro utilizzato era non pigmentato, e si è sciolto al contatto col sudore delle mani del portatore.
La difesa in dibattimento dei falsari (o dei portatori) è quasi elementare: la qualità del documento è talmente bassa, che si evoca (e si ottiene) il reato impossibile, art 49 CP, II comma.
La grossolanità del falso si estende anche ai prodotti industriali, quando si pongano in commercio, ad esempio, prodotti palesemente mal realizzati, ma con il marchio originale.
Per questo caso, si ha una recentissima e molto pubblicizzata sentenza della V Sezione penale della Suprema Corte (12 Marzo-29 Maggio 2008, numero 21787), con la quale si annulla con rinvio alla Corte di Appelo di Napoli una sentenza di assoluzione fondata proprio sul concetto di reato impossibile per la grossolanità della contraffazione.
Secondo la Suprema Corte, infatti, la norma è volta a tutelare, non la libera determinazione dell’acquirente, ma la pubblica fede, intesa come affidamento dei consumatori nei marchi, quali segni distintivi della particolare qualità e originalità dei prodotti messi in circolazione; ne consegue che non può parlarsi di reato impossibile per il solo fatto che la grossolanità della contraffazione sia riconoscibile dall’acquirente in ragione delle modalità della vendita, in quanto l’attitudine della falsificazione ad ingenerare confusione deve essere valutata non con riferimento al momento dell’acquisto, ma in relazione alla visione degli oggetti nella loro successiva utilizzazione.
Sinceramente e modestamente, mi sembra che ci sia una confusione tecnica tra l'intenzione della contraffazione (del documento, della banconota, dell'oggetto della proprietà intellettuale in genere) e la pochezza esecutiva di tale intento. In altre parole, una cosa (e un reato) è voler falsificare un documento, e volerlo utilizzare; altra (e altro reato) è la incapacità a realizzare un falso qualitativamente accettabile.
Chi utilizza un passaporto falso, non compie un reato impossibile; lo compie limitatamente al pessimo prodotto che vuol far passare per passaporto. Chi vende oggetti di abbigliamento palesemente e malamente contraffatti, compie un reato impossibile per la contraffazione in sè, non per l'utilizzo illecito dei modelli industriali.
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