domenica 14 marzo 2010

Pellicola, digitale, enhancement, Rube Goldberg, MacGyver - I


Rielaborazione di cose dette qualche tempo fa, aggiornate e rimpinguate alla luce di recenti modi di peritare...

Nella elaborazione delle immagini ai fini forensi, il problema classico e numericamente più frequente è quello della differenziazione delle caratteristiche dell'oggetto in esame da quelle dell'ambiente in cui si trova.
Separare un tracciato da uno sfondo, un colore dall'altro, la firma dal timbro che la copre, una aggiunta dall'originale, una scritta sbiadita dallo sfondo; il tutto, con metodologia rigorosamente non distruttiva e non alterativa.
Il metodo di elezione fino ad alcuni anni fa era l'indagine fotografica per esteso campo spettrale, dall'ultravioletto all'infrarosso, con l'aggiunta eventuale dell'esame in fluorescenza UV o IR. Personalmente, ho sempre ritenuto il risultato delle pellicole migliore di quello dei sensori (curve di risposta più omogenee rispetto all'intervallo di sensibilità), e non sono il solo a crederlo.

Negli ultimi due anni, Kodak ha interrotto la produzione prima dell'Ektachrome EIR (dia, falsi colori, sviluppo in E6 - il link porta ad un PDF) e poi della Infrared High Speed (HIE, bianco e nero, io la sviluppavo col Rodinal - PDF anche qui). Alla data di oggi, rimangono le sole (ottime, comunque) pellicole Rollei Infrared 400 (prodotta da Maco, simile per sensibilità spettrale a quella che era la Ilford SFX o la Konica Infrared, propriamente una sensibiltà estesa sul rosso), e la EFKE IR 820, fabbricata in Croazia con tecnologia Orwo  dalla Fotokemika (questa ha una sensibilità estesa agli 820nm, non  è la Kodak HIE, ma abbastanza, ed ora è disponibile anche una versione priva del film antialo). Le EFKE e le Rollei sono disponibili in Italia tramite Fotomatica.
Per quanto riguarda l'analisi nell'UV, sono (ancora) utilizzabili le pellicole correnti: il problema vero è negli obiettivi recenti, con "troppo vetro" , che assorbe buona parte della radiazione nell'UV, e porta a tempi di posa eccessivamente prolungati e d a perdita di informazione. I migliori risultati li ho sempre con i Tessar (o Sonnar) e derivati (il Micro-Nikkor 55/3,5 per esempio), tre gruppi con quattro lenti, con un trattamento superficiale non eccessivamente spinto come quelli odierni. Come non bastasse, la qualità ottica è migliore anche nell'UV (oltre che nell'IR).

L'adozione delle macchine fotografiche digitali nell'IR e/o nell'UV richiede un investimento elevato che spesso non corrisponde ad un ritorno economico sufficiente, tenendo anche conto della rapida obsolescenza dei materiali, e della generale scarsa disponibilità del cliente a pagare per tali analisi.
Si tenga anche conto che qualsiasi protocollo di indagine sui documenti procede gradualmente nell'approfondimento delle analisi.
È quindi giustificata una analisi sulla confidenza che possa essere data da altri mezzi di indagine, basati sulla elaborazione di immagini digitalizzate (ottenute, per intendersi da un buon scanner) e sul loro enhancement (= noun; intensification; improvement; increasing of the value of ), procedimenti resi possibili dall'incremento della capacità di calcolo disponibile negli ordinari personal computers.
Dalla pratica professionale corrente (e da un bel po' di letteratura accumulata negli ultimi anni - io leggo, non dico di aver letto) credo che il metodo di prima scelta per l'analisi e la differenziazione delle caratteristiche sia l'analisi delle immagini ordinarie degli oggetti: le elaborazioni multicanale negli spazi colore ormai disponibili su qualsiasi programma di imaging, Bodziak, (pseudo) Nemarsky, deconvoluzione e resamplig dei livelli consentono di ottenere risultati consistenti e in alcuni casi non ottenibili in campo spettrale esteso.

Si vedano i semplici esempi nelle due immagini che seguono (cliccare sui riquadri per ingrandire):




Le immagini sono a bassa risoluzione con evidentissimi artefatti di compressione; nella pratica professionale (immagini a 1200 dpi almeno, profondità di colore adeguata, tiff, e via elencando) si hanno risultati di gran lunga migliori.


Chiaramente, una differenziazione ottenuta con tali metodi è condizione sufficiente a definire una diversità negli oggetti di indagine (inchiostri diversi, eliminazione di caratteristiche indesiderate, migliore leggibilità dell'immagine ai fini puramente infografici), ma non necessaria.
La mancanza di risultati NON dimostra l'unitarietà dell'oggetto.
Se si ottengono risultati con una analisi sulle immagini digitalizzate delle scritture (ed in generale di qualsiasi altro oggetto d'indagine)la ripresa nell'IR o nell'UV non è necessaria.

Potremmo dire che ci sono due modi (tra infiniti altri) di lavorare: à la Rube Goldberg o alla McGyver.
Nel linguaggio bieco degli ingegneri, un Rube Goldberg è un sistema estremamente complicato per svolgere una azione semplice. Un MacGyver è qualcosa che produce un effetto estremamente utile nella maniera più semplice e con mezzi non progettati per quello scopo.
Rube Goldberg, è lo pseudonimo di Reuben Augustus Goldberg, cartoonist statunitense, premio Pulitzer. L'espressione è da decenni sui dizionari. Il sito della Omega Engineering ha un'ampia sezione dedicata alle sue invenzioni.
MacGyver è proprio lui, l'agente segreto Angus MacGyver, che con Clippy (la graffetta di MS Word) una lattina di birra e due metri di nastro adesivo porta l'uomo su Marte (e ritorno).
Un MacGyver è un accrocco, un coacervo di oggetti che svolge egregiamente la funzione di uno strumento ultimo grido ad un millesimo del costo e, normalmente, con risultati di gran lunga migliori.
Dov'è il coniglio? Semplice, è la differenza tra sapere veramente perché le cose accadono, o farsele dire da qualcosa che non si sa nemmeno da che parte si accende (ma che costa un sacco di soldi ed il design curato da H.R.Giger).

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