Due recentissime sentenze delle sezioni penali della Corte di Cassazione, ribadiscono l'orientamento circa il valore della perizia come "prova", e sulla ammissibilità o meno della perizia (d'ufficio) nel dibattimento penale.
La perizia è sempre "prova neutra", che non è né a carico né a discarico dell'imputato, è sottratta alla disponibilità delle parti ed è rimessa al potere discrezionale del Giudice, che al più dovrà fornire una logica motivazione all'eventuale diniego.
Le due sentenze sono la n. 5295/11 della VI sezione penale e la successiva 12757/11 della II sezione; in particolare l'eventuale, motivato, diniego da parte del Giudice ad ammettere perizia nel dibattimento non costituisce motivo di ricorso per Cassazione.
Nella lettera, della 5295/11, dell'11 Gennaio 2011 : "La mancata assunzione di prova decisiva, quale motivo di ricorso per cassazione, può essere dedotta solo in relazione a mezzi di prova di cui sia stata legittimamente chiesta l'ammissione a norma dell'art. 495 c.p.p., comma 2, il quale stabilisce il diritto dell'imputato all'ammissione delle prove indicate a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico. Va però subito chiarito che il diritto alla controprova non può avere per oggetto l'espletamento di una perizia, essendo essa per antonomasia mezzo di prova neutro, non classificabile né a carico né a discarico, oltre che sottratto alla disponibilità delle parti, e rimesso, invece, al potere discrezionale del giudice. Pertanto la perizia non può ricondursi al concetto di "prova decisiva", la cui mancata assunzione possa costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. d)."
Una meditazione sul fatto che la perizia non è né prova né verità rivelata e incontestabile ma mero strumento gnoseologico a disposizione della formazione del libero convincimento del Giudice, potrebbe spegnere alcuni ardori (o pruriti, secondo altre opinioni) manifestati da alcuni.
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