sabato 7 novembre 2009

Considerazioni della Consulta sulla Legge 319/80


La Corte Costituzionale è stata chiamata più volte ad esprimersi sulla legittimità della Legge 319/80, che fissa i compensi dei periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite su disposizione dell'autorità giudiziaria in materia penale e civile

La Sentenza numero 41 del 1996 è particolarmente interessante, anche per il prestigio dei componenti la Corte in quel momento; Presidente del Consiglio dei Ministri era  allora Lamberto Dini, Ministro di Grazia e Giustizia era (da tre giorni) Vincenzo Caianiello, seguito all'interim dello stesso Dini dopo Filippo Mancuso.

Il ricorso de quo è basato sulla disparità di trattamento che la Legge implica tra le prestazioni pagate a vacazione e quelle a percentuale sul valore (è evidente che chi viene liquidato a percentuale non soffre della svalutazione monetaria come, invece, chi viene pagato a ragione fissa (a vacazione), nonché sulla patente irrisorietà del pagamento rispetto al lavoro svolto dal Perito, Consulente o Traduttore.

La Sentenza è per esteso su Scribd :



Indipendentemente dalla infondatezza del ricorso, sono particolarmente interessanti le motivazioni e le considerazioni in fatto della sentenza.

Tra l'altro la Presidenza del Consiglio, avversa all'accoglimento del ricorso, ricorda che la Corte costituzionale, con sentenza 10 giugno 1970 n. 88, ha già stabilito che il lavoro svolto dai consulenti tecnici d'ufficio non si presta ad essere inquadrato in uno schema che involga necessariamente un'esatta corrispondenza tra prestazioni compiute e retribuzione erogata.
Questa altro non è che l'affermazione della natura pubblicistica dell'incarico, come risulta dalla Legge che istituisce gli Elenchi dei Periti e Consulenti presso i Tribunali.

La Corte ben evidenzia la diversità di trattamento dell'attività svolta per l'Autorità Giudiziaria rispetto all'art. 36 della Costituzione, non tanto per la disparità tra liquidazione a percentuale e liquidazione a vacazione, conseguenza del colpevole mancato adeguamento agli indici ISTAT degli importi tabellari nei termini (tre anni) fissati dalla Legge stessa, quanto per il fatto che l'opera prestata per il Giudice o per il Magistrato costituisca o meno una percentuale rilevante del reddito personale dell'interessato.
Chi, cioè, lavora pressoché esclusivamente per l'Autorità Giudiziaria è discriminato rispetto a chi ha altre entrate che gli consentono di sostenere il sacrificio per il bene comune implicito nella tariffa pubblicistica.
Conclusivamente, questa Corte non può non rinnovare l'auspicio che - in attesa di norme migliori - le autorità indicate dalla legge impugnata provvedano a rispettare le scadenze triennali di adeguamento dei compensi dovuti in base alle variazioni accertate dall'ISTAT.

Auspicio non ascoltato, come sappiamo.

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