domenica 6 settembre 2009

La creazione di glossari gergali nell'indagine penale


Torniamo alla perizia di trascrizione e/o traduzione nell'indagine penale.
Si abbia a che fare con un una comunicazione verbale (che va quindi preventivamente trascritta ai fini dell'indagine) o scritta (ad esempio, una lettera, una nota), in cui ci si esprime in gergo, ovvero un linguaggio fondato su trasformazioni convenzionali delle parole di una lingua o d’uno o più dialetti, con inserzioni di elementi lessicali esotici o di nuovo conio, usato da chi appartiene a determinati gruppi professionali, come ad es. girovaghi, o gruppi sociali, come ad es. sette religiose o politiche, malviventi, carcerati, ecc., allo scopo di garantire l’identità di gruppo e di non farsi intendere da coloro che ne sono estranei (De Mauro).
Inoltre, consideriamo anche la possibilità che ci si esprima in lingua diversa dall'italiano, o dai dialetti italiani.

Questa è la normalità in quasi ogni indagine giudiziaria, in verità.
Rari, o nulli, sono i casi in cui in una intercettazione ambientale o delle comunicazioni non ci si trovi di fronte ad una variante gergale della lingua, sia essa minima come il normale lessico familiare, o professionale, o sociale (compreso in questo il politichese).
Non interessa qui discorrere dal punto di vista linguistico delle varianti gergali, non è il luogo e non c'è nemmeno lo spazio per farlo. Ci interessa discorrerne brevemente dal punto di vista del perito trascrittore o dell'interprete che deve fornire materiale all'inquirente o al giudicante, ovvero a difesa degli interessi del proprio assistito.

Il gergo ha tra i suoi scopi precipui quello di non farsi intendere dagli estranei, come detto. Quindi è per definizione chiuso, non aperto, non codificato; va quindi interpretato, tradotto.

Esistono varianti gergali diffuse, dal Lumfardo argentino, al Pajubá dei travestis brasiliani, alle mille e più di mille varianti del chicano degli immigrati ispanici statunitensi, il Taliano degli immigrati italiani in Sudamerica, alle varianti dell'inglese parlate dagli immigranti londinesi, alle mille e più di mille varianti delle bande e dei gruppetti giovanili. Ed esistono varianti e sottovarianti parlate da gruppi di qualche decina di persone (e anche meno).

Il traduttore, il trascrittore, l'interprete professionalmente cosciente ha sì a sua disposizione materiale più o meno affidabile (dalle indagini accademiche ai dizionaretti internettiani), ma questo è per definizione insufficiente.
Il gergo è definito, ancora, chiuso, non aperto, non codificato; trasmetterlo ad estranei significa aprirlo, vanificarlo. E seppure esistano varianti gergali della lingua che sono originate da necessita di affermazione della categoria nei confronti degli altri (vedi, ad esempio, i citati travestis brasiliani) e che pertanto trovano in una codifica una gradita affermazione della propria identità, un gruppo chiuso non ha il minimo interesse a far sapere in giro cosa dice, altrimenti perché mai userebbe una lingua diversa?

Da qui, la necessità di creare glossari operativi, studiando ed interpretando il linguaggio in esame, e stabilendo pressoché per ogni termine il grado di affidabilità della interpretazione fatta.
Dal contesto della conversazione, dai riscontri oggettivi dell'indagine, dall'esperienza derivata da incarichi precedenti si può giungere ad una interpretazione più o meno efficace dei singoli idioletti, tenendo bene in conto che stiamo parlando di indagini giudiziarie, dove dalla corretta interpretazione può discendere il fondamento per una incriminazione o un proscioglimento.

E qui cominciano i problemi operativi.

In una indagine che si basa su intercettazioni telefoniche, si procede progressivamente, e quasi mai si può ritornare indietro sulla interpretazione delle prime comunicazioni incontrate. Man mano che si procede nell'indagine, nell'ascolto, nella interpretazione, si accumulano informazioni che consentono di conoscere meglio i singoli idioletti, migliorando progressivamente la qualità del glossario. Però, spesso non è nemmeno consentito dagli operanti o dalla AG di procedere ad una revisione delle comunicazioni precedenti, per cercare di rendere migliori le interpretazioni fatte in precedenza, in condizioni di carenza lessicale da parte dell'interprete.
Si pretende, cioè, che il Perito sia imparato, più che in possesso delle capacità e delle conoscenze ad interpretare.
Analogamente, in un incarico di trascrizione della intercettazione (o delle conversazioni scritte ) fatta su incarico del giudicante, dove tutto il materiale è a disposizione del Perito, spesso non si riesce a convincere il Giudice del tempo necessario ad interpretare una variante gergale. L'intero corpus andrebbe ascoltato e revisionato più volte, cosa che spesso non è possibile fare, perché il tempo non c'è.

I glossari prodotti in singole indagini, inoltre, non possono essere resi pubblici, e non possono nemmeno essere trasferiti da un interprete all'altro, anche per necessità di sicurezza dell'indagine stessa (non far sapere che sappiamo cosa dici). Un glossario correttamente compilato, tra l'altro, richiederebbe anche informazioni su chi, dove e quando si esprime in quella tal maniera, e questo cozza (di brutto) con la procedura penale.
La conseguenza, è che i glossari rimangono confinati nell'esperienza personale del singolo perito, non circolano, debbono essere ricostruiti ogni volta.
Un passo indietro, sempre ad inseguire.




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